La relazione interpersonale nel contesto sportivo
Essere in relazione
La relazione interpersonale nel contesto sportivo è fondamentale. Con relazione interpersonale si intende un rapporto fra due o più individui che danno vita ad un legame. Il legame può basarsi su sentimenti come simpatia, amicizia o amore e che nasce da contesti umani condivisi.
Già Aristotele aveva definito, nel suo testo “Politica”, l’uomo come “l’animale socievole […] dotato di logos”. Ed è proprio tramite la comunicazione che entriamo in contatto con gli altri, perché ci permette in qualunque sua forma di creare occasioni di scambio, di condivisione, con i quali sentirsi in empatia. Uno degli elementi essenziali per creare una relazione, infatti, è proprio l’avere in comune qualcosa: un interesse, una passione, un luogo di ritrovo, degli impegni professionali.
Così come la natura dell’uomo è varia in possibilità e scelte, anche i legami che ne possono derivare sono di diversa natura: famigliare, di vicinato, di amicizia o inimicizia, educativi, di lavoro e d’affari, d’amore.
Alcune caratteristiche fondamentali per cui si può intraprendere una relazione sono sicuramente il tempo, la fiducia, la positività, l’attenzione, la gentilezza (Anzivino, “La relazione: l’ovvio di cui nessuno si occupa”, 2013): non dovrebbero mai mancare soprattutto se ciò che vogliamo sono legami di qualità.
Un rapporto di qualità per eccellenza dovrebbe essere quello educativo, sia esso scolastico, sportivo o puramente ricreativo. E a tal proposito, è proprio su fiducia e positività che vorrei porre l’attenzione: dovrebbero imprescindibilmente “muovere” il soggetto educante nella costruzione del legame con l’educando.
La relazione educativa…
Una relazione educativa si configura con la presenza di almeno due soggetti: un educatore, che essendo adulto esercita il ruolo di guida, ed un educando. Ciò comporta che questo rapporto sia asimmetrico, perché c’è di fatto un’oggettiva disparità: ma se così non fosse, non si potrebbe manifestare l’atto educativo (Mari, “La relazione educativa”, 2012). Tale asimmetria però consiste nel fatto che l’educatore ha più responsabilità: quella di chi ha scelto di accompagnare l’educando nel suo percorso di crescita.
Al giorno d’oggi ci si nasconde troppo spesso dietro alla “crescente complessità” delle nuove generazioni, alla scarsa qualità del tempo che si riesce a passare con loro e all’inevitabile fallimento che ne deriva. Ma è proprio nella difficoltà che, facendosi guidare dalla fiducia e non dallo scoramento, è necessario investire mettendosi in gioco per primi come educandi!
“Il cambiamento educativo è un progetto ambizioso, un incidere, un graffiare intenzionalmente la vita individuale per lasciarvi un‘impronta visibile“ (Demetrio D, 1990).
È infatti l’ambizione che ci permette di trasformare le intenzioni, in attività e risultati; ma ciò è possibile solo se decidiamo attivamente di investire tempo, fiducia, attenzione, accuratezza verso ciò che vogliamo costruire.
… nel mondo Insuperabili
A maggior ragione se parliamo di disabilità, i concetti di ambizione e responsabilità si amplificano ulteriormente. Stare in relazione con qualcuno che magari non riconosce neanche l’altro come “altro da sé” e che quindi non conosce nemmeno il significato di “relazione”, è pressoché impossibile se non siamo noi per primi a “muoverci” con fiducia e positività: ecco ciò che muove ogni singolo coach nella sua attività quotidiana in ogni sede Insuperabili. ù
Soprattutto con le nostre categorie Silver, che includono atleti spesso non verbali, con grandi difficoltà socio-relazionali, sensoriali, motorie, ci “muove” proprio il pensiero che la forma di comunicazione per entrare in sintonia c’è, ma dobbiamo solo trovarla: passando del tempo insieme, a partire da ciò che ci piace fare, in un posto comune, creando routine che diventeranno il “posto sicuro” del nostro stare insieme.
Il nostro segreto? Insieme!
Non è tanto importante il “come” ci si arriva, ma l’arrivarci insieme, l’aver dedicato tempo e attenzione l’uno all’altro e l’aver capito come poterlo fare: all’inizio sarà totalmente asimmetrica la relazione, per cui è l’educatore ad investire la maggior parte delle sue risorse per avvicinarsi. Solo così però, vedendo l’investimento dell’ “altro” nei suoi confronti, il nostro atleta potrà capire che stare in quella relazione ne vale davvero la pena e che ci sono molti modi diversi di starci.
Anche la scienza ha dimostrato che avere legami solidi incide positivamente sulla salute di tutti, a tutte le età: e quale sfida più bella se non far scoprire l’altro e la gioia dello stare insieme, a chi ancora non “vede” questo piacere.
Per quanto riguarda invece tutte le nostre categorie GOLD il discorso è diverso?
Il “bisogno di relazione” è considerato uno dei tre bisogni fondamentali secondo la Teoria dell’auto determinazione (Deci e Ryan, 1985) insieme al bisogno di Autonomia e quello di Competenza. Il Bisogno di relazione si riferisce alla presenza e alla capacità di gestione dell’esperienza di connessioni significative con altre persone, con conseguente sviluppo di un senso di appartenenza a un determinato gruppo sociale.
Per questo motivo dobbiamo sempre ricordarci che anche i nostri atleti con una maggiore allenabilità e addirittura i nostri atleti d’élite nascondono delle fragilità di cui non possiamo fare a meno di tenere conto per essere realmente in relazione con loro. Questo non vuol dire che dobbiamo cogliere solo la loro fragilità ma dobbiamo tenerne conto nella globalità della persona prima e dell’atleta in secondo luogo.
In conclusione
La dimensione tecnica e psicosociale saranno sempre costantemente intrecciate nell’attività sportiva e saranno fenomeni che l’atleta, il coach e la squadra (nel nostro caso) affronteranno insieme.
All’interno di queste relazioni si possono concretizzare l’apprendimento del gesto atletico in primis ma in maniera altrettanto importante anche la possibilità per il disabile di sperimentare maggiore confidenza nelle proprie capacità unita alla possibilità di interagire con altre persone.
In questa prospettiva sarà quindi fondamentale che atleta e tecnico-squadra costruiscano un clima di lavoro positivo, improntato alla collaborazione reciproca e alla conoscenza delle caratteristiche individuali di ogni persona coinvolta.
L’apprendimento del gesto atletico va considerato come un processo graduale ed è necessario che ognuno di noi prepari le proprie attività pensando di sostenere l’atleta a fare progressivamente proprie tutte le competenze necessarie, aumentando la complessità gradualmente.
Allo stesso tempo, è molto importante coltivare in noi la capacità di riadattare costantemente la propria programmazione per rispettare le possibilità, le capacità e i tempi di apprendimento del soggetto.
Stefano Fazzalari, referente R&D area psicologica
Chiara Melotti, coach psicologa e supervisore