Non si può vincere sempre
Gestire la sconfitta per diventare campioni
Non si può vincere sempre. Lo sappiamo. Ma c’è di più. Se limitassimo il significato di vittoria e sconfitta solo al risultato ridurremmo lo sport ai numeri segnati sul tabellone al fischio finale, al numero raggiunto nella competizione. Lo sport però va ben oltre i numeri finali; lo sa bene chi lo pratica per davvero (a qualunque livello) e tutti gli allenatori.
Qualche settimana fa abbiamo proposto una riflessione sulla vittoria come occasione per far crescere l’inclusione e il nostro psicologo Simone Pilatu ci ha portato una riflessione sull’importanza di gestire l’errore per un atleta. Questo articolo si inserisce in questo filone proponendo una riflessione sulla sconfitta. L’esito sfavorevole di una partita spesso viene percepito come la conseguenza di una serie di piccoli o grandi errori fatti durante la preparazione o la prestazione. La sconfitta e l’errore sono fondamentali per crescere nello sport?
L’altra faccia della medaglia
“Michael Jordan è stato 15 anni in NBA, ha vinto sei titoli: gli altri nove anni sono stati un fallimento per caso? Mi state davvero dicendo questo? Perché mi fate questa domanda? Dovete capire che nello sport non esiste la logica del fallimento. Ci sono i giorni buoni e quelli pessimi, a volte riesci a vincere e altre no. Ci sono momenti in cui capisci che è il tuo turno e altri invece in cui devi farti da parte: è la logica di base dello sport, non si può vincere sempre. E quest’anno vincerà qualcun altro.”
Con questo discorso Giannis Antetokounmpo, stella dei Milwaukee Buck, ha risposto a un giornalista che gli domandava se, dopo l’eliminazione al primo turno dei playoff NBA, la stagione fosse un fallimento.
La risposta di Antetokoumpo riporta l’attenzione su una verità scomoda dello sport: non si può vincere sempre.
Gli atleti, indipendentemente dal loro livello di abilità, si trovano ad affrontare inevitabilmente momenti di insuccesso. Vittoria e perdita sono due facce della stessa medaglia, non esiste l’una senza l’altra. Ogni volta che ci mettiamo in gioco, nel campo come nella vita di tutti i giorni, accettiamo l’esistenza di entrambi i risultati: l’ebbrezza della vittoria e il dolore della sconfitta.
Il dolore della sconfitta
Secondo una ricerca condotta dal neuroscienziato Maarten Boksen, docente presso la Rotterdam School of Management dell’Erasmus University, parrebbe che quando perdiamo il nostro cervello attiva una reazione molto simile a quando proviamo un dolore intenso (ad esempio il mignolo sbattuto contro il comodino).
Secondo questa scoperta, quindi, saremmo “programmati” fisiologicamente per evitare la sconfitta.
Oltre la reazione fisiologia, non possiamo dimenticare le diverse reazioni emotive che ogni persona vive di fronte una sconfitta: dispiacere, rabbia, frustrazione, fino ad arrivare alla negazione (“non posso aver perso”) e alla deresponsabilizzazione (“non è colpa mia”, “l’altro ha barato”, “sono stato sfortunato”).
L’errore serve?
Se è vero che cerchiamo di evitare, o quantomeno limitare, la sconfitta proprio per le reazioni che ci provoca, è altrettanto vero che non possiamo eliminarla del tutto dalle nostre vite.
Allo stesso modo, nel momento in cui iniziamo a praticare uno sport dobbiamo mettere in conto non solo che sbaglieremo (un passaggio, un tiro in porta, ecc.) ma che ogni tanto perderemo, che sia una partita di allenamento o quella di campionato.
L’errore è quindi solo un dato inevitabile o serve a qualcosa? Secondo molti l’errore serve per imparare e migliorare. Quante volte ci è stato detto e abbiamo detto “impara dai tuoi errori”?
Se l’errore scatena in noi una serie di reazioni negative, come può essere qualcosa da cui apprendere, qualcosa che insegna e fa crescere? L’errore in sé non insegna, non serve.
L’errore insegna se rielaborato in tutte le sue componenti: emotive e prestazionali.
Educare alla sconfitta
L’elaborazione della sconfitta riveste un’importanza cruciale nello sviluppo personale e nella pratica sportiva; diventa fondamentale allenare la capacità di fare i conti con la sconfitta e la frustrazione che questo provoca. È un processo di analisi e una competenza complessa da sviluppare, ma fondamentale sul campo e nella vita di tutti i giorni.
Come allenatori possiamo, dobbiamo, accompagnare gli atleti in questo. Non solo loro, ma anche noi stessi: la sconfitta della squadra che alleniamo è anche nostra. Una squadra non è formata solo dai suoi atleti, ma anche da tutto il gruppo tecnico che si prende cura di lei.
In poche parole dobbiamo, educarci ed educare i nostri atleti alla sconfitta.
Elaborare la sconfitta
Bisogna prendere consapevolezza che la sconfitta è il risultato di una prestazione sportiva, cioè del modo in cui abbiamo affrontato la competizione, del modo in cui ci siamo impegnati e ci siamo messi in gioco. Il raggiungimento di questa consapevolezza però avviene lungo alcuni passi.
- Per poter però svolgere un’analisi più razionale, capace di ripercorrere quanto accaduto, il primo passo da fare è cercare di “sgonfiare” l’emotività. È importante trovare delle strategie permettere di esprimere ciò che si prova (la tristezza, la rabbia, il senso di impotenza, la delusione) ed ascoltare come si sentono gli altri. L’attenzione da avere in una situazione di questo tipo è evitare l’accusa “è colpa sua…lui ha fatto…è tutta sfortuna”. Anche per gli allenatori diventa importante avere un tempo e uno spazio in cui poter dire cosa si prova.
- Una volta che si è più lucidi si può passare ad analizzare gli aspetti più razionali della prestazione e quindi provare ad individuare i punti di forza e di debolezza, cercando di esaminare non solo gli aspetti più tecnici ma anche quelli relazionali (es: quante volte abbiamo comunicato con i nostri compagni?)
- L’ultimo step riguarda l’individuazione di nuovi obiettivi. L’attenzione da avere in questo passaggio è sul darsi dei buoni obiettivi: la vittoria alla prossima partita non è un buon obiettivo; affrontare la prossima partita curando maggiormente i passaggi o la comunicazione invece lo è. L’obiettivo deve essere raggiungibile e stimolante e dobbiamo poter esercitare un buon livello di controllo sulle azioni necessarie per raggiungerlo.
Per ognuna di queste fasi è fondamentale sapere chi ho davanti, chi sono i miei atleti e quindi adattare le modalità di condivisione ed elaborazione. Se, ad esempio, un atleta fatica ad esprimere verbalmente il proprio stato d’animo allora posso attrezzarmi con un termometro delle emozioni. Oppure se l’obiettivo è che passi la palla a più compagni posso creare delle tessere con le foto delle persone a cui deve passare la palla.
Due fondamentali da ricordare
Analizzare una singola partita può e dovrebbe prescindere dal punteggio conseguito. I concetti di vittoria e di sconfitta sono relativi: si può perdere bene e si può vincere male. Si può considerare vittoria anche il piccolo traguardo raggiunto attraverso l’impegno e l’attenzione che si mette. Questo migliora la qualità di gioco, si fanno gesti tecnici più precisi, c’è una buona comunicazione tra i compagni di squadra, ecc.
Non si può vincere sempre. Lo sappiamo. Ma dovremmo anche rivedere il concetto di vittoria. Perché bisognerebbe considerare una sconfitta tutte le volte che non abbiamo giocato (nel) bene. Se abbiamo vinto con l’imbroglio, sfruttando le zone grigie del regolamento, prevaricando l’avversario o i compagni di gioco.
E dopo ogni risultato, dopo ogni analisi di prestazione, è bene ricordarsi che nello sport avviene una magia bellissima: si riparte sempre dallo 0 a 0. Ed è tutto da giocarsi, di nuovo.
Irene Raimondi
Coordinatore Pedagogico Area Ricerca&Sviluppo Insuperabili